La dipendenza affettiva

La dipendenza affettiva

Che cos’è la dipendenza affettiva

Definire un dipendenza affettiva può non essere facile, se non altro per il fatto che un certo grado di dipendenza è connaturato alle relazioni umane, non solo tra bambino e caregiver, ma anche tra adulti: tra partner, tra membri di un gruppo, di una famiglia, tra amici, tra paziente e terapeuta. Quando una dipendenza affettiva può dirsi patologica dunque? Quando è troppo? Fino a che punto si può essere dipendenti da un’altra persona senza conseguenze dannose o autodistruttive.

Abbiamo tutti un’idea o un’esperienza più o meno diretta di cosa sia una dipendenza:  è la “ricerca obbligata, ad ogni costo, di un apporto esterno di cui il soggetto ha bisogno per il proprio equilibrio e che non può trovare a livello delle proprie risorse interne”. Quando questo “apporto esterno” in un adulto coincide con la figura di un’altra persona possiamo parlare di “dipendenza affettiva”. 

Nella dipendenza affettiva l’altro diviene “l’unico regolatore del sè”, indispensabile per sedare gli stati di angoscia, per mantenere l’autostima, per conservare un senso di coesione interna, ma anche per provare desiderio, passione, emozioni forti, fossero anche rabbia e odio, insomma, un unica ragione per sentirsi eccitati e vivi. 

In una relazione matura si parla di sana interdipendenza quando il ruolo di chi si prende cura e offre sostegno e quello di chi li riceve e si appoggia sono flessibili ed intercambiabili in maniera equilibrata.  Nessuno dei due partner è sempre quello forte, ma entrambi possono avere aree e momenti di fragilità e sentirsi sicuri di poter contare sul sostegno dell’altro. La relazione è fondata sulla reciprocità e sul rispetto dei bisogni di entrambe. Nell’altro si trova un alleato, un sostegno, una fonte di sicurezza.

La capacità di affidarsi e di chiedere aiuto è controbilanciata dalla capacità di sostenere la solitudine e di effettuare scelte autonome, e viceversa, la capacità di essere soli ed autosufficienti deve anche poggiare sulla fiducia di potersi affidare all’altro nel bisogno.

Se questo equilibrio invece è rigidamente sbilanciato, sia nel senso di un aggrapparsi all’altro, sia nel distanziarlo, allora siamo in una condizione problematica riguardo all’integrare le dimensioni della dipendenza-indipendenza. In questa visione più ampia non va incluso solo il dipendente affettivo in senso stretto, ma anche quegli assetti distanzianti-evitanti che si costituiscono come reazione difensiva alla paura del rifiuto e all’angoscia di abbandono e che si basano sulla negazione dei bisogni di dipendenza e di intimità emotiva. Queste due tendenze relazionali sono complementari ed hanno una radice comune in modelli di attaccamento insicuri verso le figure primarie di riferimento durante l’infanzia, con un pattern ansioso-ambivalente i primi e ansioso-evitante i secondi. Per approfondire i modelli di attaccamento leggi il mio articolo I 4 stili di attaccamento.

Visto che, sovente, ciò che l’individuo non riesce a trovare in se stesso lo va a cercare nell’altro, spesso il dipendente affettivo idealizza e si sente attratto da un evitante affettivo, e viceversa, in modo che ciascuno dei due possa confermare all’altro l’immagine di sé negativa e le aspettative di perdita e rifiuto che hanno inconsciamente rispetto alle relazioni – vedi il mio articolo Stili di attaccamento e amore.

Caratteristiche del dipendente affettivo

Ci sono alcune modalità di sentire, pensare e comportarsi che sono tipici della persona con inclinazione alla dipendenza affettiva, gli aspetti nucleari sono i seguenti:

  • la separazione è temuta come un evento insostenibile;
  • ogni cambiamento nella relazione viene vissuto come minaccioso;
  • l’esperienza della solitudine è angosciante e intollerabile.

Chi soffre di dipendenza relazionale spesso ha un basso livello di autonomia e di fiducia in se stesso, ad esempio è indeciso, non  ha opinioni definite, è poco consapevole delle proprie risorse e degli obiettivi da realizzare, ha scarse capacità di regolare le proprie emozioni e gli stati interni negativi, di darsi autosostegno e consolazione , di tollerare le frustrazioni. Lowen descrive molto bene il carattere che chiama “orale”: caratterizzato da cronici sentimenti depressivi, scarsa energia vitale e scarso senso di radicamento nella realtà (grounding). Tutte queste qualità e capacità che gli mancano vengono proiettate dalla persona dipendente in un altro idealizzato, visto come competente, autonomo, forte e con il quale desidera fondersi in una relazione simbiotica. Senza l’altro egli si sente svuotato, devitalizzato, incapace di sostenere  ed affrontare la vita. La separazione è intollerabile e spesso il dipendente è disposto a fare e a sopportare molto pur di evitarlo, è abituato a disconoscere e reprimere i propri bisogni per soddisfare quelli dell’altro e a prendersene cura in modo compiacente o sottomesso.

A volte può assumere un comportamento lamentoso e recriminatorio, di protesta e pretesa, come se dovesse essere risarcito di qualcosa di cui è stato privato ingiustamente. E di fatti lo è stato, un bambino deprivato.

L’infanzia del dipendente affettivo

Il dipendente affettivo è stato un bambino che non ha potuto vivere l’esperienza dei genitori come base sicura: magari essi erano presenti, ma non in maniera costante, il bambino li ha vissuti come imprevedibili, a volte presenti e volte no, a volte disponibili a volte presi da altro, oppure fragili e bisognosi, o intrusivi e controllanti. In questo modo egli ha elaborato un’immagine di sé come poco amabile e un modello interno della relazione come non sicura e da tenere sempre sotto vigile controllo. Non è infrequente che i soggetti dipendenti siano stati figli genitoriali, che in qualche modo hanno sentito di doversi prendere cura emotivamente o anche concretamente di un genitore problematico, fragile, depresso o tossicodipendente ad esempio, spesso per delega del genitore “sano”.

 Questo bambino non ha sperimentato la tranquillità di un contenimento rassicurante e la gioia di essere amato e considerato per i suoi reali bisogni. Si è adultizzato cercando di captare i bisogni dell’altro e di prendersene cura, sopprimendo la propria tendenza all’esplorazione e all’autonomia, troppo preoccupato a vigilare e controllare lo stato dei genitori, nella speranza di guadagnarsi la loro attenzione, considerazione, accettazione e amore.  L’illusione del dipendente è “mi prenderò cura di te e ti guarirò, così finalmente tu mi amerai e ti prenderai cura di me”. Anche da adulto egli continua ad essere guidato dall’inconscio desiderio di guarire i genitori problematici, di trovare quel genitore ideale che alla fine li amerà in modo perfetto e non li abbandonerà, prendendosi cura di loro. Questo tipo di relazione si concretizza in modo particolarmente evidente nella forma della co-dipendenza, cioè in quei casi in cui il dipendente affettivo si ostina a prendersi cura di un partner autodistruttivo, ad esempio tossicodipendente o alcolista o con una qualche forma di dipendenza comportamentale. La relazione viene mantenuta ricorrendo a strategie di controllo dell’altro, a volte in modo accuditivo, altre volte in modo più aggressivo-punitivo, anche attraverso atteggiamenti passivi ed indiretti.

Tuttavia non sempre le problematiche di dipendenza affettiva corrispondono alla forma sacrificale, sottomessa e accuditiva descritta sopra. Allargando la prospettiva, ci sono diverse declinazioni possibili delle problematiche relative alla dipendenza-indipendenza relazionale, diversi ritratti o profili, alcuni più vicini all’immagine classica del dipendente emotivo sopra descritta, altre invece che se discostano lungo un continuum che va fino all’opposto complementare: la forma passivo-dipendente, la forma co-dipendente, quella aggressivo-dipendente e quella contro-dipendente. Approfondirò  e descriverò queste forme nel prossimo articolo.