Le 4 figure della relazione dipendente: la forma co-dipendente

Le 4 figure della relazione dipendente: la forma co-dipendente

“Ti amo perchè hai bisogno di me”

Il concetto di co-dipendenza nasce nell’ambito dei gruppi di auto-mutuo aiuto tra mogli e compagne di uomini affetti da alcolismo o tossicodipendenza. In effetti queste donne si iniziarono a rendere conto che anche la loro era una forma di dipendenza, ma dalla relazione tossica più che da una sostanza. In generale, nei legami di co-dipendenza uno dei partner si trova in una condizione di urgenza e di bisogno e l’altro impiega una spropositata quantità di energie per aiutarlo ad uscire dalla condizione problematica, senza che però questo si realizzi mai.

“Nonostante i fallimenti ripetuti, le speranze di cambiamento sempre disattese, le aspettative deluse ed i progetti infranti; nonostante le promesse non mantenute e le reiterate menzogne da parte del soggetto malato o problematico, nella persona codipendente torna sempre prima o poi la propensione a cominciare da capo, la disponibilità a puntare di nuovo e di più sulla speranza di un cambiamento possibile” (Borgioni, 2015).

Tra i due partner viene a crearsi quello che Karpman chiama il “triangolo drammatico”: i due si alternano ciclicamente nei ruoli di vittima, carnefice e salvatore. Inizialmente il partner problematico si trova nel ruolo di vittima che si lascia aiutare, promettendo che cambierà e si impegnerà grazie all’amore che riceve e alle cure dell’altro, il suo angelo salvatore. Per un po’ questa promessa potrà anche essere mantenuta, finché il demone della dipendenza farà di nuovo la sua comparsa e il partner tornerà a fare la sua puntata al gioco o la sua dose di sostanza, convinto di avere la situazione sotto controllo e poter conservare sia i vantaggi della relazione che la condotta di abuso. Il doppio gioco va avanti, fintanto che le assenze improvvise, i ritardi, gli ammanchi di denaro, gli sbalzi di umore sono sempre più evidenti e le scuse improntate sempre meno plausibili. Il partner si insospettisce e con rabbia e delusione scopre l’inganno.

A questo punto il copione è quasi sempre lo stesso: “Sì, sono ricaduto e la colpa è tua, perchè non ti sei mai fidata di me! Mi sono sempre sentito controllato anche quando non facevo nulla: se devo sempre essere trattato da tossico tanto vale che lo faccia davvero!” Ormai la vittima è diventata cattiva ed arrogante, finchè, toccato il fondo, torna implorando perdono e rinnovando la promessa: ”Ti prego non mi abbandonare! E’ stata l’ultima volta. Adesso ce la farò davvero…”. Il partner codipendente potrà resistere per un po’, ma poi tornerà a cadere nell’illusione e poco a poco si trasformerà nel carnefice, facendo pesare il suo perdono con una pressione colpevolizzante ed un controllo vissuto dal compagno come sempre più asfissiante ed ossessivo.

Più che ad un partner sembra che gli addicted si relazionino ad un genitore, ora comprensivo e amorevole, ora rigido e severo: il rapporto non è mai alla pari.

Ma cosa alimenta l’atteggiamento di inesauribile dedizione ed abnegazione del codipendente?

Il sentimento di speranza, da una parte, l’illusione di poter compiere una mission alla quale non si potrebbe rinunciare, pena lo svuotamento dell’esistenza e la depressione. Ma non solo. C’è un’ambivalenza di fondo, poiché se il partner smettesse di aver bisogno di aiuto, forse crollerebbe il fondamento stesso della relazione di codipendenza. Finchè il partner sarà problematico e bisognoso non abbandonerà la relazione. E questo ha un fondo di verità: non è infrequente che il partner dipendente e con condotte di abuso interrompa la relazione di co-dipendenza quando intraprende un reale percorso di riabilitazione. Il rapporto con la dipendenza da sostanze o comportamentale è esclusivo e non c’è spazio per una relazione fondata sulla vera intimità. Non vale il principio “se trovassi la persona giusta cambierei vita”, ma semmai, “prima si cambia vita e poi si può trovare la persona giusta!

Un’altro meccanismo che alimenta potentemente questa forma di dipendenza relazionale è la distorsione cognitiva dell’idealizzazione. Si tratta di una duplice distorsione.  Si idealizza il partner che “se non fosse per il suo problema, sarebbe una persona molto valida, con un gran potenziale, piena di risorse”, che “all’inizio era un’altra persona, piena di attenzioni e di pregi, sembrava che vivesse per me!”. Allo stesso tempo si idealizza se stessi: provando orgoglio per la propria capacità di autosacrificio, per la forza di lottare senza arrendersi, contro tutto e tutti, la perseveranza di chi non molla. Dopo tante risorse, tempo e vita investiti, cedere rappresenterebbe un fallimento e determinerebbe un crollo dell’auto-immagine con il conseguente vissuto depressivo.

L’illusione salvifica del co-dipendente non è rivolta solo al partner, ma anche, e forse soprattutto a se stesso: egli desidera salvarsi o riscattarsi rispetto alla propria storia.  Spesso, infatti, la persona codipendente è stata un bambino genitorializzato, che ha dovuto in qualche modo preoccuparsi o occuparsi di un genitore problematico, depresso, malato o dipendente, senza ricevere le cure e le attenzioni di cui aveva bisogno. Guarire il genitore e farlo stare bene è l’unica possibilità di poter avere finalmente un genitore sufficientemente sano da poter rovesciare di nuovo i ruoli e ricevere le cure di cui si aveva tanto bisogno. Questa è la inconsapevole mission del codipendente: guarire qualcuno per poter finalmente essere amato come meritava, trovare un sostituto simbolico di quel genitore ideale che non si è mai avuto. 

Il percorso terapeutico di queste persone passa necessariamente per la rottura dell’incantesimo, dell’illusione e attraverso la dolorosissima presa di coscienza che la fiaba non avrà il tanto desiderato lieto fine. Si tratta di un vero lutto interiore, che non può non avere una fase depressiva. Ma solo così la persona potrà entrare poi in una seconda fase in cui iniziare a prendersi cura del proprio bambino interiore deprivato, costruendo con fatica dentro di sé una parte adulta funzionale in grado di riconoscere e soddisfare i propri bisogni, senza doversi compulsivamente prendere cura di qualcun altro dal quale sperare invano di poter essere amato.