La Teoria Paradossale del Cambiamento di Arnold Beisser e la terapia Gestalt

La Teoria Paradossale del Cambiamento di Arnold Beisser e la terapia Gestalt

Secondo la psicoterapia della Gestalt la nostra possibilità di realizzarci passa attraverso l’accettazione consapevole di ciò che siamo, così come siamo, nel nostro qui e ora.

L’obiettivo del lavoro terapeutico non è che un altro me stesso prenda il posto di quello che non mi piace più. Il fantastico Arnold Beisser individuò come buon risultato del lavoro terapeutico l’arrivare a essere ciò che si è: sembra assurdo, ma non lo è.

Spesso viviamo con l’illusione di essere in un certo modo o la rabbia di essere in un certo modo. Così, credendo fortemente in quell’illusione o in quella rabbia le personifichiamo in noi stessi.

Accettare profondamente di essere così come siamo, non è rassegnazione. E’ vedersi. Il cambiamento ha bisogno di un terreno reale e solido su cui poggiarsi per avere luogo, mentre le nostre illusioni su noi stessi, i nostri inganni mentali, i nostri stessi desideri, non hanno la salutare consistenza della realtà. Un po’ come quando camminiamo, se il terreno non è consistente, non avanziamo.
“In un dato momento nessuno può essere diverso da ciò che è in quel momento, incluso il suo desiderio di essere diverso” scriveva Perls. Da tale presupposto deriva che il vero cambiamento non ha luogo attraverso lo sforzo di essere diversi ma avviene se ci concediamo uno sguardo benevolo su di noi, uno sguardo che ci accoglie. Il nostro sguardo. Abbracciamo noi stessi. Diamoci tempo, capacità di vederci, e accettazione. . .

E’ tutto nell’affermazione di Beisser:

“Il cambiamento avviene quando una persona diventa ciò che è, non quando cerca di diventare ciò che non è”.

Il paradosso sta qui, contro le credenze secondo cui per cambiare ci deve essere fatica sennò non vale. E non serve qualcuno che ci dica chi siamo.

Una brava terapeuta non chiede a un paziente di essere diverso da com’è, non gli dice chi è, non offre interpretazioni. Propone se stessa, come persona arrivata o in cammino verso l’abbandono di ogni idea su come vorrebbe essere e riappacificata con quello che è.

Perché prima di raggiungere una qualsiasi meta occorre poter appoggiare i piedi su un terreno solido, conosciuto, che restituisca la forza del passo. Occorre partire da ciò che siamo, proprio come dicono tante scritture sapienziali: siamo noi il tesoro da trovare, non è da cercare al di fuori di noi. Come nella storia del pescatore di perle che si affannava a cercare la perla più bella e non sapeva di averla da sempre sotto il cuscino.