Che cos’è un attacco di panico?

Che cos’è un attacco di panico?

Un attacco di panico è un’improvvisa crisi di paura, di ansia, di grosso malessere, fondamentalmente una forte risposta di “attacco o fuga”. Un episodio di panico non costituisce di per sé una malattia definita, ma rappresenta una entità sindromica che, oltre ad insorgere spontaneamente, può anche essere indotta dall’esposizione ad una situazione ansiogena temuta, da particolari eventi di vita stressanti, dall’uso di sostanze eccitanti quali cocaina, cannabinoidi, LSD, amfetamine, caffeina ecc. Perché si configuri un Disturbo da Attacchi di Panico, è infatti necessario che si osservi nel paziente un cambiamento significativo nel proprio stile di vita, correlato all’esperienza del panico, oltre alla presenza di una preoccupazione persistente ed intensa circa il verificarsi nuovamente di tale esperienza.

Si distinguono gli attacchi di panico inattesi (a “ciel sereno”) e gli attacchi di panico situazionali, che si verificano in corrispondenza di precise
condizioni ambientali.
Di solito i sintomi insorgono improvvisamente e raggiungono la massima intensità nell’arco di 10-15 minuti.

I sintomi
Durante un attacco di panico possono essere presenti tutti i seguenti sintomi o solo alcuni di essi:

  • Mancanza di respiro e senso di soffocamento
  • Sentire battere forte il cuore
  • Sudorazione
  • Tremori
  • Rossore
  • Voce tremula o rauca
  • Nausea o impulso a vomitare
  • Vertigini o lieve giramento di testa
  • Formicolio nelle dita dei piedi o agli arti
  • Senso di costrizione o dolore al torace
  • Vampate di caldo o di freddo
  • Senso di irrealtà
  • Impressione di non essere in grado di pensare lucidamente o di essere Incapace di parlare
  • Impulso a fuggire
  • Paura di morire
  • Paura di perdere il controllo e di impazzire

L’agorafobia

L’agorafobia si presenta in circa il 50% di pazienti che soffrono del Disturbo di Panico ed è caratterizzata dalla paura e dall’evitamento di situazioni in cui può essere difficile o imbarazzante allontanarsi, oppure di situazioni in cui può essere difficile ottenere l’aiuto di qualcuno in caso di malessere improvviso o di panico.
Le situazioni temute sono piuttosto varie: rimanere da soli, allontanarsi dalla propria abitazione o dai luoghi familiari in cui ci si sente al sicuro, trovarsi in posti affollati, in luoghi chiusi, in spazi aperti e vasti, sui ponti, nei tunnel, negli ascensori, nelle autostrade, sui mezzi di trasporto pubblici, ecc.

Quando l’ansia diventa grave si tende in genere a fuggire dalla situazione: l’allontanamento in un primo momento serve, perché l’ansia decresce rapidamente, ma è controproducente a lungo andare, perché ogni volta che ci si allontana da una situazione aumenta la paura di affrontarla.
Le persone imparano presto a riconoscere le situazioni nelle quali sono assalite da ansia o panico e cominciano spesso a provare ansia solo all’idea di affrontarle (la cosiddetta “ansia anticipatoria” o “paura della paura”) e quindi tendono a evitarle del tutto. In realtà chi evita di esporsi a una situazione non può sapere che cosa sarebbe successo se l’avesse affrontata, ad esempio se la sua prestazione sarebbe stata davvero inadeguata. Inoltre l’evitamento determina una diminuzione dell’autostima e della fiducia in se stessi e tende a estendersi anche ad altre situazioni simili per un fenomeno noto come generalizzazione.
I pazienti agorafobici, molte volte, riescono ad uscire di casa solo in compagnia di una persona di fiducia, come il coniuge, un parente o un amico, designata come “accompagnatore”. Inoltre, spesso, controllano che il luogo dove si devono recare sia vicino a strutture di pronto soccorso facilmente raggiungibili in caso di malessere. Questi comportamenti, che sono caratteristici di molti pazienti agorafobici, sono correlati ad una marcata ansia di separazione dalle figure significative e dagli ambienti familiari.

Il bisogno di dipendere da persone che siano in grado di fornire rassicurazioni comporta, da un lato, il timore della loro perdita, dall’altro lato porta talvolta a sviluppare aggressività nei loro confronti proprio per l’incapacità di svincolarsi dal bisogno di protezione. L’ansia di separazione, quindi, comporta spesso una marcata ambivalenza nei rapporti interpersonali.

Il trattamento dei disturbi di panico pertanto implica in parte un lavoro volto alla riduzione delle condotte di evitamento e di ricerca di sicurezza, basato sia sulla graduale esposizione alle situazioni temute, sia sui profondi modelli di relazione e sulle reazioni alla separazione dalle figure di attaccamento.

L’iperventilazione e le tecniche digestione dell’ansia

Un altro intervento utile è l’acquisizione di alcuni strumenti e tecniche per controllare e gestire meglio l’ansia sul piano comportamentale, come ad esempio tecniche di rilassamento e di respirazione.

Infatti sintomi come senso di mancanza d’aria, testa leggera, senso di stordimento, tachicardia, sensazioni di spilli o formicolii, sono conseguenza dell’iperventilazione, cioè un modo di respirare più veloce di quello fisiologico, che aumenta in modo eccessivo il livello di ossigeno rispetto a quello di anidride carbonica nel sangue. I vasi sanguigni si restringono e l’emoglobina non rilascia ossigeno, col risultato che anche se c’è molto ossigeno nei polmoni ne arriva poco al cervello ed in altre aree del corpo. Per la sensazione di mancanza d’aria la persona inizia a respirare più velocemente peggiorando la situazione, fino ad avere sintomi come vertigini, nausea, costrizione o dolore al torace, aumento del senso di allarme ed apprensione, fino al terrore che stia per accadere qualcosa di terribile, come un attacco di cuore, un ictus, la morte o la pazzia.
Se l’iperventilazione rimane stabile a livelli relativamente bassi, non si scatenano attacchi di panico, ma si ha solo un prolungato stato di apprensione. Per questo è utile saper intervenire utilizzando tecniche come il respiro lento o con l’uso del sacchetto di carta.
E’ importante sottolineare che l’iperventilazione fa parte della fisiologica risposta di attacco e fuga del nostro organismo, non è pericolosa, benché i sintomi siano spiacevoli, essi scompaiono appena si smette di iperventilare.

Pensieri disfunzionali

Un aspetto importante è anche quello che riguarda il nostro modo di pensare: la psicologia cognitiva ci insegna che alcuni schemi di pensiero sono più tipici delle persone ansiose e queste modalità disfunzionali, dette distorsioni cognitive, possono essere progressivamente riconosciute, modificate e corrette in modo da non alimentare la propensione alle reazioni ansiose.

I conflitti profondi

Infine, parte veramente fondamentale del lavoro è quella che riguarda il senso profondo, spesso non del tutto consapevole, di minaccia che scatena la risposta di attacco o fuga, mettendo in allarme l’intero organismo, a volte fino a paralizzare la vita dell’individuo.
La psicoterapia mira ad esplorare e portare alla consapevolezza della persona emozioni, bisogni, conflitti profondi che possono essere alla base del disturbo d’ansia, rispetto al quale i sintomi rappresentano solo il segnale o la cosiddetta punta dell’iceberg.
Il lavoro che si va a fare con la guida ed il sostegno di uno psicoterapeuta è un intervento a tutto tondo sulla persona che coinvolge il corpo (aspetti somatici), il pensiero (aspetti cognitivi), le emozioni e sentimenti (aspetti emotivi), l’intera personalità e la storia unica della persona, in relazione al suo ambiente ed ai legami importanti, ai suoi desideri, alle motivazioni, ai bisogni, al proprio sistema di valori (aspetti caratteriali, relazionali e biografici) e alla propria identità. Tutti questi aspetti possono entrare in conflitto tra loro o essere minacciati da fattori sia interni che esterni alla persona. Ad essere minacciato può essere il senso di sicurezza personale, materiale o dei propri legami di attaccamento; lo status sociale, l’accettazione e la posizione all’interno di un gruppo o la propria indipendenza e autodeterminazione individuale; il sistema dei propri valori di riferimento o il senso della propria identità, solo per fare alcuni esempi. Tuttavia, allo stesso tempo, questa specie di lotta o minaccia interiore può non essere vissuta in maniera del tutto consapevole dal soggetto, il quale è invece molto sensibile nel percepire i cambiamenti fisici, somatici, connessi alle emozioni e a interpretarli come segnali di pericolo, innescando così il circolo vizioso dell’ansia che può portare all’attacco di panico vero e proprio.