Come il passato ci impedisce di vivere il presente: l’effetto Zeigarnik e le Gestalt incompiute

Come il passato ci impedisce di vivere il presente: l’effetto Zeigarnik e le Gestalt incompiute

“Non c’è nulla di così faticoso come sostenere l’eterno peso di un compito non concluso.”

WILLIAM JAMES


L’effetto Zeigarnik

Vi sarà di certo capitato di non riuscire a togliervi dalla testa una canzone di cui avete ascoltato solo un breve stralcio di sfuggita alla radio o di ripensare intensamente all’ultima puntata di un serie tv, la cui ultima scena è terminata proprio sul più bello. Ebbene, sono solo due delle tante manifestazioni di un meccanismo molto affascinante che si chiama effetto Zeigarnik e che spiega, attraverso un funzionamento della nostra memoria, la tensione che ci procura aver lasciato in sospeso e senza soluzione delle esperienze della nostra vita. 

Questo effetto è stato scoperto dalla psicologa lituana Bluma Zeigarnik mentre si trovava a cena in un ristorante viennese piuttosto affollato. Intenta a consumare la sua cena, la psicologa notò che Il cameriere riusciva nell’arduo compito di ricordare a mente un numero sbalorditivo di ordinazioni, ma una volta portate al tavolo le pietanze, dimenticava ciò che aveva servito. Tuttavia, sembrava ricordare molto meglio, anche a distanza di tempo, le ordinazioni lasciate a metà. Zeigarnik, da brava scienziata, approfondì il fenomeno in laboratorio e gli studi confermarono le sue intuizioni: quando un compito non viene portato a termine, si crea uno stato mentale di tensione che impedisce alla mente di iniziarne un altro da zero. È lo stesso meccanismo che viene messo in atto quando si compila una lista delle cose da fare o si inserisce un impegno in agenda. Per il solo fatto di aver pianificato un’attività, la mente trasmette messaggi ansiogeni che invitano a portarla a termine, impedendo di concentrarsi su altri processi mentali. Ne consegue che, per dimenticare e non pensare più a qualcosa, qualunque essa sia, è indispensabile “concludere” l’azione mentale iniziata in precedenza. 

L’effetto Zeigarnik viene sfruttato anche nelle pubblicità dei trailer dei film in uscita al cinema: viene mostrata una sequenza di scene interessanti, che crea tensione e curiosità, chiudendo però il trailer sul momento di maggiore suspense con la data di uscita del film nei cinema. Questo espediente narrativo è definito cliffhanger (finale sospeso) e serve proprio per generare nello spettatore un senso di forte interesse e di non compiutezza. Chi di noi non ha atteso con trepidazione per mesi i nuovi episodi di una amata serie su Netflix?

Se trasportiamo questo meccanismo all’interno delle relazioni “sospese”, quelle cioè che si sono interrotte senza essere veramente risolte, non sarà difficile comprendere perché lasciarsi alle spalle queste relazioni diventi a volte complicato. È proprio per l’effetto Zeigarnik che una relazione, all’apparenza terminata, continua a perdurare nella mente. Potremmo dedurre che siamo programmati per continuare i progetti intrapresi e così, anche per questo, una relazione conclusa senza un chiaro e netto chiarimento potrebbe essere difficile da digerire. 

Procrastinazione

Rimandare le cose nel tempo, ruba tempo. (Edward Young)

L’effetto Zeigarnik, dunque, ci porta a completare ciò che abbiamo iniziato, ma ha anche delle sfaccettature negative, poichè ci tiene come agganciati alle situazioni che nella nostra memoria sono registrate come “incompiute”. Un possibile effetto, ad esempio, è che questo fenomeno è in grado di trasformare il relax in tensione interiore.

Hai letto bene: questa strana tendenza riesce a fare in modo che non si riesca a fare a meno di trasformare i momenti di tranquillità in tirrequietezza, tensione, pensieri assillanti e frustrazione.

Se essere sottomessi al cliffhanger della nostra serie preferita non è poi così drammatico, ritrovarsi legati a pensieri assillanti generati da tutte le cose che dovremmo portare a termine e che non iniziamo neppure, invece, può portare a stress, frustrazione, stanchezza mentale, esaurimento. E non di rado tutti quei “devo ricordarmi di…” spuntano quando ci stiamo rilassando.

Per questo, ad esempio, prima di prendersi un periodo di riposo o di partire per un weekend o una vacanza, è bene aver dato una chiusura alle cose che erano in sospeso in quella settimana.

Chi ha tendenza a procrastinare lo sa bene: non c’è nulla di peggio che ricordarsi di continuo di dover svolgere un compito e non farlo. A volte distrarsi può funzionare come strategia di difesa, ma non sempre, e comunque solo temporaneamente. È come avere una spia luminosa in testa che attrae la tua attenzione di continuo e più le cose da fare sono tante e più le spie si accendono fino a non lasciarti vivere in pace. Si rischia di cadere in un circolo vizioso sfiancante, non solo perchè ci si sente in colpa e la propria autostima ne viene erosa, con un conseguente ulteriore calo di energie e motivazione, ma inoltre quelle che ieri erano cose importanti seppur non urgenti diventeranno le emegenze di domani, generando molto stress, il che rende ancora più difficile trovare soluzioni in modo lucido e creativo. A volte le situazioni non risolte di oggi diverranno i rimpianti di domani. 

Quindi, se sai di dover fare qualcosa ma procrastini da mesi, il miglior consiglio che ti si può dare è quello di chiederti innanzitutto cosa vuoi veramente e quali resistenze stanno agendo dentro di te per realizzarlo. L’ambivalenza e il conflitto interiore possono dare origine a molte condotte inconsciamente autosabotanti o distruttive. Chiediti se stai seguendo degli obiettivi veramente tuoi o in linea con i tuoi veri bisogni, che cosa significherebbe  per te portare a termine quella cosa, che rischi correresti, cosa cambierebbe nella tua vita, se temi di deludere qualcuno o se temi troppo l’insuccesso e il fallimento per tentare. A volte, ad esempio, avere troppa paura di compiere errori porta ad un perfezionismo ossessivo che fa perdere la direzione rispetto al compito o che prolunga in maniera controproducente i tempi impiegati. Una volta che hai chiarito cosa desideri e quali sono i tuoi freni interiori – cosa non sempre semplice – è importante fare il primo passo, anche piccolo,  oppure pianificarlo, stabilendo dei tempi ben precisi. Anche solo scrivere un piano con obiettivi concreti e tempi stabiliti in maniera chiara equivale a permettere a quel promemoria mentale che ti assilla di uscire dalla tua mente attraverso un’azione concreta. Tenderai poi naturalmente, una volta che avrai mosso il primo passo, a portare a termine il tuo compito, ma se non ti è possibile passare all’azione subito, ti sarà utile per esempio annotare con carta e penna tutti gli step con le tempistiche richieste per giungere all’obiettivo. Suddividere un compito complesso in sotto-obiettivi più semplici rende molto più efficace e probabile la loro realizzazione. Quindi anzichè pensare al 100% e lasciarci schiacciare, è più efficace iniziare anche solo dall’1%. 

Per farlo, spesso risulta necessario dare ascolto a quei richiami di completamento. Ma prima ancora, vi consiglio di fermarvi a valutare la relativa importanza degli elementi della vostra to-do-list e di stabilire un ordine di priorità, eliminando quelli poco o per niente importanti, né urgenti.   Troppo spesso buona una parte del carico di stress che viviamo è dovuto ad una cattiva gestione degli stimoli, sia interni che esterni, per cui ci sovraffolliamo la mente e ci sovraccarichiamo di stimoli inutili senza essere in grado di gestirli. 

Un’altro consiglio utile è quello dato dal terapeuta e scrittore Irvin Yalom: fermarci ogni tanto e chiederci “Quali rimpianti non voglio accumulare oggi per il resto della mia vita?” Porsi certe domande può richiedere tempo, ma soprattutto coraggio ed onestà. Tuttavia lo sforzo che possiamo fare oggi in questo senso ha l’enorme guadagno di darci la sensazione di dare alla nostra vita la direzione che vorremmo, di seguire il nostro progetto esistenziale, di diventare le persone che vorremmo essere.

Le situazioni incompiute secondo la psicologia della Gestalt

La psicologia delle Gestalt, partendo anche dagli studi sull effetto Zeigarnik, ci indica che il nostro sistema percettivo e la nostra mente tendono a preferire le configurazioni e le situazioni compiute, complete. In caso contrario tendiamo – cioè proviamo una tensione interna – a voler completare quella situazione, per poi finalmente lasciarla nel passato, per poterne godere appieno o comunque per trarne insegnamento, come parte della nostra vita, della nostra storia e identità personale. Così potremo dedicarci ad altre e nuove figure dallo sfondo, cioè nuove esperienze per sentirci vivi. 

Nel corso della vita a volte è inevitabile restare in situazioni di incompiutezza e sospensione e, fortunatamente, riusciamo a contenere molte di queste situazioni. Quando però queste situazioni sono sufficientemente potenti, cioè importanti, significative per la nostra psiche, anche se a volte lo neghiamo, oppure troppo numerose – come nel caso di chi ha la tendenza a procrastinare e a lasciare molte situazioni irrisolte, progetti non realizzati, cose non dette, conflitti non chiariti, evitamenti  e via dicendo – allora l’organismo, corpo e mente, può essere sopraffatto da un senso di malessere. Questo stato di squilibrio può manifestarsi in ansia, tensione fisica, stanchezza, umore depresso o irritabile, mancanza di concentrazione, sogni ricorrenti, calo di autostima e sintomi psicologici e somatici di vario tipo. Insomma, le Gestalten incompiute, le “parentesi lasciate aperte”, possono essere un elemento determinante nelle nevrosi. Questa fu uno dei concetti chiave della teoria di Fritz Perls, padre della psicoterapia della Gestalt. 

Trasponendo l’Effetto Zeigarnik su un piano più ampio ed esistenziale, finché non avviene la chiusura, il completamento di queste “figure”, sarà difficile per una persona essere pienamente nel presente, nel qui e ora, perchè l’incompiuto ci viene a bussare dall’inconscio, fa intrusione nella nostra coscienza e ci disturba trascinandoci nel passato. 

Nel caso delle relazioni, il sospeso e il non-detto potrebbero causare un continuo rimuginio, alimentando auto-svalutazione e stati depressivi. Le ore passano in preda a speculazioni inutili sul passato, che verrà rivissuto di continuo e considerato non come “fatto compiuto”, ma come una dolorosa situazione ancora aperta e viva. I possibili sensi di colpa (“se avessi fatto questo o quell’altro..”) e i mirabolanti scenari della fantasia (“sarebbe bello se..”) potrebbero spingere molte persone a cercare in modo spasmodico di rivivere nel presente l’occasione persa o di ripararla. Altre volte cerchiamo di creare un finale diverso nella nostra immaginazione o nei sogni, ma non vogliamo o riusciamo ad agire concretamente nella realtà. 

Freud aveva parlato di “coazione a ripetere”, cioè una tendenza inconscia della mente umana a rimettere in scena, in maniera a volte anche simbolica e per analogia, i vecchi traumi e le situazioni irrisolte del passato. Ne sono esempi la tendenza incomprensibile a ripetere sempre gli stessi errori, a incappare sempre in situazioni simili anche se non vorremmo, a imbatterci sempre nelle stesse sofferenze. Questo anche perché la nostra mente tenta in tal modo di rivivere le stesse situazioni originarie con l’intento di risolverele, ma senza riuscirci, almeno fintanto che non si uscirà dall’ automatismo della psiche inconscia e non si rielaboreranno in maniera più approfondita  e consapevole quelle situazioni irrisolte.

A volte non è possibile intervenire in maniera diretta sulla situazione, specie se essa appartiene ad una condizione passata che non è più ripetibile, come ad esempio non aver detto o fatto qualcosa di importante verso una persona che ormai non c’è più.  La chiusura può comunque essere cercata e realizzata facendo qualcosa nel presente in circostanze parallele o facendo qualcosa che simbolicamente metta in scena una chiusura, come scrivere una lettera o agire nella direzione giusta in una situazione analoga. Questo tipo di lavoro non equivale a poter tornare nel passato per modificarlo, cosa che non è possibile per nessuno di noi, ma viene spesso fatto nello studio con la guida di un terapeuta, ad esempio, perchè la nostra psiche opera anche attraverso significati ed episodi simbolici, non solo attraverso i fatti concreti puramente oggettivi. A volte la chiusura può essere data solo da un lavoro di accettazione, dal perdono e dal compassionevole accoglimento degli umani errori, propri e altrui. Lasciando andare il passato nel passato. Altre volte rielaborando dei traumi che hanno lasciato profondi segni nella mente e nel corpo.

A cosa ci serve sapere queste cose? Quando inibiamo un bisogno importante,  quando evitiamo o rimandiamo ciò che ci spaventa o che non ci piace, ma che è importante per noi, alcune volte stiamo facendo una cosa sana e anzi necessaria per la convivenza civile: sapersi trattenere e rimandare, oppure evitare reazioni incontrollate, può avere senz’altro un vantaggio sociale. Ma altre volte, invece, stiamo tradendo noi stessi, lasciando aperte parentesi della nostra vita che richiederanno una chiusura, che ci toglieranno energie, ci presenteranno il conto impedendoci di godere del presente, anche del meritato riposo o dei nostri successi. Per la nostra mente è come restare fermi ad una stazione in cui abbiamo perso quell’importante treno. 

Fermarci ogni tanto e chiederci quali siano le parentesi aperte, le gestalt incompiute nella nostra vita e ascoltare noi stessi, per sentire quanto siano realmente importanti, può essere utile per poter vivere con maggiore pienezza e soddisfazione nel momento presente.